Ho visto il mare in ogni luogo. Era un muro. Blu. Un giorno mi trovavo fra le cupe montagne, e pure lì ho incontrato l’acqua, era una cascata, ma per me era un’oasi nel deserto e il baluginare dell’animale di salsedine nelle lontananze. Ogni volta sul treno c’era un momento in cui si urlava: “il mare, eccolo!”, con il dito a premere il vetro del tempo che scivolava indietro velocissimo. Poi il mare, scodinzolando, ci accompagnava nel viaggio, accanto a noi, mai preso davvero, mai conquistato. Nelle città era dietro l’angolo, in mezzo ai profili aridi dei condomini, fra la tristezza dura della vita precisa e responsabile. Non lo si vedeva, lo si immaginava, talvolta all’alba, talvolta per un vibrare d’oro che sapeva del chiasso delle spiagge d’estate. E talvolta c’era solo il cielo – un tempo c’era il cielo – a farsi blu e profondo come l’universo acquoreo che ci risucchia di nostalgia. Il cielo era il mare.